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Partito Popolare Italiano
Leader Mino Martinazzoli, Rosa Russo Jervolino, Gerardo Bianco, Franco Marini, Pierluigi Castagnetti
Stato [[File:Template:Naz/ITA|Bandiera Template:Naz/ITATemplate:Naz/ITA|border|20px]] [[Template:Naz/ITA|Template:Naz/ITA]]
Fondazione 1994
Dissoluzione 2002, confluito ne La Margherita
Sede Roma, Piazza del Gesù
Ideologia Cristianesimo sociale
Cristianesimo democratico
Collocazione centro/centrosinistra,
Coalizione Patto per l'Italia, L'Ulivo
Partito europeo Partito Popolare Europeo
Gruppo parlamentare europeo Gruppo del Partito Popolare Europeo
Seggi massimi Template:Partito politico/Assemblee 67
(massimo raggiunto nel 1996)
Seggi massimi Template:Partito politico/Assemblee 31
(massimo raggiunto nel 1996)
Seggi massimi Template:Partito politico/Assemblee 9
(massimo raggiunto nel 1994)

Categoria:Errori di compilazione del template Partito politico

Il Partito Popolare Italiano (PPI) è stato un partito politico nato il 22 gennaio 1994 successivamente ad un'opera di rinnovamento all'interno della Democrazia Cristiana secondo la politica portata avanti da Mino Martinazzoli, segretario nazionale dal gennaio 1994 al marzo 1994. Dall’aprile 1994 al luglio 1994 il PPI era senza Segretario nazionale e diretto da un comitato di reggenza. Furono eletti segretari poi Rocco Buttiglione (luglio 1994 - luglio 1995), Gerardo Bianco (luglio 1995 - gennaio 1997), Franco Marini (gennaio 1997 - ottobre 1999) e Pierluigi Castagnetti (ottobre 1999 - marzo 2002).

L’evoluzione del PPI, iniziata con una rifondazione e la scelta di un nuovo nome, facendo riferimento al Partito Popolare di Luigi Sturzo del 1919, con l'intento di richiamarsi alle radici dell'esperienza politica dei democratici cristiani italiani ed anche al cristianesimo sociale, si concluse nello schieramento dell'arco politico italiano coalizzato con i partiti dell'Ulivo.

Attualmente l'eredità popolare è raccolta nell'Associazione Politica I Popolari, associazione creata per disposizione congressuale dell'ultimo Congresso Nazionale del PPI.

Storia

Il 12 ottobre 1992 la Democrazia Cristiana elesse Mino Martinazzoli segretario, come successore di Arnaldo Forlani, mentre il partito si trovava in crisi di consensi, in seguito agli scandali di Tangentopoli che videro coinvolti diversi suoi dirigenti nazionali; in un momento in cui si doveva fronteggiare anche il crescente movimento della Lega Nord e in una situazione storica internazionale che vedeva il termine del peso dell'influenza sovietica e un mutevole quadro di molte formazioni politiche nazionali.

La linea programmatica del neosegretario si palesò all'assemblea programmatica costituente, svoltasi a Roma dal 23 al 26 luglio 1993: secondo Martinazzoli, il partito aveva necessità di cambiare profondamente, pur senza rinnegare le sue radici ideali e storiche, trasformandosi da un "partito delle tessere" a un "partito di programma", fondato sul valore cristiano della solidarietà; e dettò la linea per una "fase costituente", per fare emergere ciò che definì, volendo tracciare una cesura con il passato recente, "terza fase storica della tradizione cattolico-democratica". Si ebbe un azzeramento del tesseramento e una nuova campagna di adesioni, applicando criteri di accettazione più restrittivi.

La nuova linea politica della segreteria, per fondare un nuovo partito d'ispirazione cristiana e popolare, venne accettata all'unanimità dall'assemblea DC, trovando la contrarietà solo di Ermanno Gorrieri, che volle poi creare una nuova formazione politica, il Movimento dei Cristiano Sociali. Mariotto Segni era invece convinto dell'impossibilità di cambiare dall'interno la Democrazia Cristiana e si era precedentemente dimesso dal partito, creò i Popolari per la Riforma e aderì poi ad Alleanza Democratica. Nella nuova situazione politica, i partiti hanno di fronte una nuova legge elettorale, la Legge Mattarella, nata in seguito a un'iniziativa referendaria, che ebbe anche il sostegno della DC.

La nuova legge rappresenta un cambiamento dal sistema proporzionale al maggioritario, il quale, teoricamente, avrebbe potuto creare le condizioni per un bipolarismo e quindi la necessità di scelta di uno schieramento fra due contrapposti. Volendo seguire le nuove possibili logiche bipolari dettate dalle nuove normative, alcuni esponenti della DC, capeggiati da Clemente Mastella e Pier Ferdinando Casini, insoddisfatti dalle mancate e chiare scelte di schieramento, temendo anzi una scelta favorevole a un fronte di centrosinistra, decisero di uscire dal partito, supportando la nuova alleanza politica che veniva proposta da Silvio Berlusconi, e fondarono un nuovo partito chiamato Centro Cristiano Democratico (CCD). Quando il Partito Popolare fu fondato nel gennaio 1994, tutti i deputati e i senatori della DC vi aderirono, con l'esclusione di 22 deputati che scelsero di partecipare alla fondazione del CCD. Alla separazione seguì un accordo per la cessione del 15% del patrimonio.

Le elezioni del 1994

Nonostante la diversa situazione politica, il Partito Popolare di Martinazzoli intendeva continuare nella sua vocazione di centro, alternativo sia al Partito Democratico della Sinistra (PDS), sia alle alleanze collocabili a destra che emergevano con Forza Italia e Alleanza Nazionale. Alle elezioni politiche del 1994 compose una coalizione chiamata Patto per l'Italia, proponendo Mariotto Segni (che presenterà anche la lista Patto Segni) per la carica di primo ministro, con la partecipazione anche dell'ex presidente del Consiglio socialista Giuliano Amato e del PRI di Giorgio La Malfa.

Il PPI in queste elezioni subì una grossa sconfitta e la strategia di riproporre il centro risultò penalizzante a causa delle contrapposizioni imposte dal maggioritario. Nei collegi uninominali, la coalizione ottenne a livello nazionale alla Camera dei deputati il 16,7%, pari a più di 6 milioni di voti, ma che comportarono l'assegnazione di solo 4 seggi[1]. Gli altri seggi furono spartiti dalle altre due coalizioni che risultarono prevalenti: il Polo delle Libertà-del Buon Governo e i Progressisti. Nella quota proporzionale il PPI raccolse l'11,1% dei voti, confermando l'andamento che la DC ebbe nelle elezioni amministrative del novembre 1993[2], ma che rappresentano un terzo dei consensi della vecchia DC; così il PPI che nella precedente legislatura disponeva di 206 deputati e 107 senatori, all'indomani delle elezioni politiche del 1994 tornò con 33 seggi alla Camera e 27 al Senato[3].

Il fondatore e segretario Mino Martinazzoli, considerando il risultato elettorale negativo, si dimise il giorno seguente la conta dei voti e la guida del partito venne assunta da un comitato di reggenza guidato dalla presidente Rosa Russo Jervolino e composto dai capigruppo di Camera, Senato e Parlamento Europeo: Gerardo Bianco, Gabriele De Rosa e Mario Forte

Con la determinante assenza volontaria di quattro senatori popolari (Cecchi Gori, Grillo, Cusumano e Zanoletti, che vennero sospesi di conseguenza dal partito), il Governo Berlusconi I riuscì ad avere la fiducia, oltre che alla Camera, anche al Senato, ottenendo 159 dei 158 voti necessari. Ciononostante durò pochi mesi, caduto dopo una mozione di sfiducia presentata dal PPI e dalla Lega Nord, che ritirò il suo appoggio iniziale al Governo. Dopo sei mesi dall'inizio della legislatura, il Partito Popolare poté rientrare a far parte, insieme ai Progressisti, nella maggioranza parlamentare, e si arrivò alla formazione del Governo Dini (gennaio 1995 - maggio 1996).

Dopo il cambio di governo, in Parlamento furono nominati come capigruppo Nicola Mancino al Senato, in sostituzione di Gabriele De Rosa, e Beniamino Andreatta alla Camera, al posto di Gerardo Bianco. Nel frattempo, il 12 giugno si erano svolte elezioni europee: queste consultazioni registrarono un ulteriore calo del Partito Popolare, che ottenne 3,4 milioni di voti, pari al 9,9%, e 9 seggi (fra gli eletti vi fu Gerardo Bianco).

Buttiglione segretario

Con la presenza di 853 delegati, in rappresentanza di 233 000 iscritti, alla fine di luglio del 1994 si tenne a Roma il primo congresso nazionale del partito. Per la scelta del sostituto di Martinazzoli alla segreteria si manifestò uno scontro che si polarizzò fra l'ala sinistra e destra del partito, i primi avevano proposto, inizialmente, diverso tempo prima dei lavori, la candidatura di Giovanni Bianchi, che venne però successivamente ritirata all'ultimo momento, per avere maggiori garanzie di vittoria, con la candidatura di Nicola Mancino; i secondi proposero Rocco Buttiglione.

La contrapposizione derivò da una diversa visione della strategia di alleanza con le altre forze politiche: mentre la destra del partito non escludeva a priori un'alleanza sia con il Partito Democratico della Sinistra, guidato da Massimo D'Alema, che con Forza Italia di Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio ancora in carica, la sinistra era molto più ostile all'idea di realizzare un'alleanza con il Cavaliere. Fra i contrari all'ipotesi Buttiglione v'era l'ex segretario Martinazzoli (che dichiarò che sarebbe stato come eleggere un sosia di Berlusconi), esponenti come Beniamino Andreatta, Sergio Mattarella, Rosy Bindi e la presidente Iervolino; fra i favorevoli a Buttiglione c'erano Franco Marini ed Emilio Colombo.

Furono fatti da Ciriaco De Mita tentativi per evitare divisioni, proponendo di ritare la propria candidatura sia a Giovanni Bianchi che a Rocco Buttiglione, che però non cedette alla richiesta. Al voto la candidatura di Buttiglione prevalse su Nicola Mancino ottenendo la segreteria con il 56% del consenso. A Giovanni Bianchi fu data la presidenza del partito. Prima dell'elezione il congresso approvò un ordine del giorno per impegnare il nuovo segretario a perseguire una strategia di concorrenza sia a sinistra che a destra, e per escludere, fino al prossimo congresso, alleanze con la destra e Forza Italia. Visto l'esito del congresso, non ritrovandosi nella nuova linea della segreteria a cui il quotidiano di partito doveva fare riferimento, Sergio Mattarella si dimise dalla direzione politica de Il Popolo, compito che poi verrà affidato a Luca Borgomeo.

Nel novembre del 1994 si svolse anche un turno di elezioni amministrative che coinvolsero quasi tre milioni di elettori, in questa occasione il PPI raccolse il 12,7% dei consensi. Martinazzoli fu candidato dal partito sindaco di Brescia, sostenuto nel suo programma anche dal PDS e dai Verdi, e fu eletto con il 56,5% del consenso, vincendo sul candidato della Lega Nord e di Forza Italia (partiti che pochi mesi prima avevano ottenuto circa il 52% delle preferenze) Vito Gnutti, ministro in carica.

Vi furono diversi altri eletti in altri comuni capiluogo in alleanza con il PDS, come a Brindisi, dove i due segretari nazionali dei due partiti hanno tenuto un comizio in comune in favore di Michele Errico. Ma ci sono stati anche luoghi in cui il partito si presentò da solo e altri in alleanza con partiti della maggioranza parlamentare corrente (con l'esclusione di Alleanza Nazionale).

Il governo Dini

Caduto il governo Berlusconi, nel gennaio 1995 venne affidato l'incarico a Lamberto Dini, si trattò di un esecutivo composto di soli tecnici, in linea con quanto chiesto dal Partito Popolare. In seguito si riunirono i leader della nuova maggioranza per stabilire il lavoro da compiere in Parlamento nei prossimi mesi, riunione in cui furono presenti Massimo D'Alema, Mariotto Segni e Umberto Bossi, si assentò volontariamente Buttiglione, che venne sostituito dai capigruppi di Camera e Senato Andreatta e Mancino.

Buttiglione sfiduciato e Bianco segretario

Buttiglione partecipò il 30 gennaio al primo congresso di Alleanza Nazionale e, apprezzando l'operazione di cambiamento del partito attuata da Gianfranco Fini, rivelò un'ampia apertura all'ipotesi d'alleanza con la coalizione guidata da Silvio Berlusconi, suscitando forti reazioni nel partito. Secondo Buttiglione, la coppia Fini-Berlusconi, non era più, secondo il suo precedente giudizio, da ritenersi compromettente per il sistema istituzionale italiano, capace cioè di portare a un deragliamento verso soluzioni populistiche e autoritarie; e sarebbe anche possibile con loro riuscire ad elaborare e attuare una politica moderata, vicina al centro e come alleato di pari grado.

L'ipotesi di un'alleanza a destra non era ritenuta praticabile dalla sinistra del partito. Secondo il parere di Beniamino Andreatta, si sarebbe seguito un disegno opposto ai motivi fondativi del Partito Popolare, sia con Berlusconi che con Fini non si sarebbe potuto costruire una società rispettosa dei criteri di legalità, dello Stato di diritto e della difesa delle minoranze, e notava come non fosse sufficiente dichiararsi liberali per esserlo. Mariotto Segni aveva alcuni giorni prima proposto per primo di schierarsi a livello nazionale al Partito Popolare, ma il suo progetto contemplava l'unione a forze liberaldemocratiche e riformiste, in congiunzione alla sinistra democratica rappresentata dal PDS; considerava la coalizione di Berlusconi distante dal centro e il centro non in grado di influenzarla in maniera autonoma e autorevole.

Tre giorni dopo l'apertura di Buttiglione, il presidente Bianchi, Mancino e Andreatta si espressero a favore della possibile candidatura dell'economista Romano Prodi alla guida di un'alleanza di centrosinistra, che avrebbe anche permesso al Partito Popolare di guidare la coalizione, essendo Prodi un rappresentante di una politica cattolica democratica.

Buttiglione non gradì che importanti esponenti del partito si esprimessero in favore di una linea contraria alla politica seguita dalla segreteria e arrivò a deferirne diversi ai probiviri a partire dal presidente del partito e dai capigruppo di Camera e Senato. La sinistra del Partito Popolare era in aperta ribellione e chiedeva che si consultassero con un referendum interno e un congresso straordinario gli iscritti per far scegliere a loro se fosse il caso di sostenere Romano Prodi o di stringere alleanze con la destra parlamentare.

A livello regionale, in prospettiva delle elezioni amministrative, Buttiglione mostrò anche aperture all'ipotesi di alleanze con il PDS e comprensione per il problema di formare alleanze con Alleanza Nazionale, dopo aver ricevuto in merito considerazioni negative dalla maggior parte dei dirigenti regionali, i quali riferivano di un'impossibilità di dialogo e di non percepire localmente differenze rispetto all'MSI. Tuttavia, l'8 marzo decise di firmare un accordo elettorale con il Polo delle Libertà, che definiva l'intenzione di presentarsi alle regionali in una lista unica insieme a Forza Italia, CCD e altri partiti, con unione dei simboli, e l'accettazione dell'appoggio di Alleanza Nazionale al secondo turno delle elezioni provinciali e comunali (previsto dalla nuova legge elettorale allora in vigore).

Secondo Buttiglione, anche se il PDS stava offrendo tutto il possibile per vincolare a sé il Partito Popolare, l'accordo sarebbe stato da evitarsi, in quanto un'alleanza di questo tipo si sarebbe trasformata in un'"alleanza strategica", mentre si sarebbe dovuto invece puntare alla guida di un'area moderata, assicurandola contro il rischio di una deriva di destra. Buttiglione poneva l'attenzione sulle differenze culturali e i differenti interessi che avrebbero separato il partito dalla sinistra socialdemocratica del PDS, ritenendo, al fine di riconquistare il consenso democristiano perduto, di dover impedire che quegli elettori, che si sentivano alternativi alla sinistra e che nel contesto del momento non avrebbero altrimenti visto alternative alla destra, sentissero di non poter fare altro che votare per Berlusconi e per Fini, cosa che avrebbe portato a serie conseguenze per la politica del Paese.

Sostenendo la linea di apertura con la destra però Buttiglione perse il consenso di alcuni esponenti che l'avevano appoggiato, come Franco Marini, che era stato nominato dal segretario responsabile organizzativo, secondo il quale una svolta a destra non era consentita dal DNA dei cattolici democratici; di Emilio Colombo (già referente di un gruppo della "destra democristiana"), che si sentì profondamente offeso da quelle decisioni, ritenute contrarie alla storia del partito e ai suoi rappresentanti storici; e di Luca Borgomeo. Fra coloro che invece ne appoggiavano le scelte c'erano Flaminio Piccoli e Roberto Formigoni.

La questione venne affrontata l'11 marzo al Consiglio nazionale: altri cinque deputati e 11 senatori lasciarono i gruppi parlamentari del Partito Popolare, andando a unirsi ai gruppi del CCD.

Il 15 marzo 1995 la crisi del partito raggiunse il culmine quando la maggioranza del Consiglio Nazionale, sconfessando l'alleanza elettorale con Forza Italia, annunciata da Buttiglione, lo sfiduciò e lo dichiarò decaduto eleggendo segretario Gerardo Bianco. Decisivo fu in questa occasione il voto di molti che avevano in precedenza sostenuto Buttiglione come Franco Marini e Emilio Colombo. Buttiglione rifiutò di lasciare la carica e sospese il Consiglio Nazionale. Una sentenza della magistratura confermò successivamente Buttiglione nella carica di legittimo segretario, obbligandolo però ad attuare la linea politica fissata dal Consiglio Nazionale.

Le regionali del 1995: i Popolari e i CDU

Il Partito Popolare si trovava in quel momento alla guida di 14 regioni: in Molise da solo; in Piemonte, Liguria, Abruzzo, Lazio, Campania, Sardegna si erano formate coalizioni con il PDS; altre alleanze di centrosinistra in Marche e Basilicata; con Lega Nord e socialisti in Lombardia, con partiti minori in Veneto, con Südtiroler Volkspartei ed altri movimenti autonomisti in Trentino-Alto Adige, in giunte democristiane e socialiste in Calabria e in Sicilia. Il PPI era all'opposizione rispetto alle giunte regionali di Emilia-Romagna, Toscana e Umbria (PDS e altri partiti); Friuli (Lega) e Val D'Aosta (UV).

La frattura tra le due anime del partito non si ricompose tanto che, alle elezioni regionali del 23 aprile 1995, esse parteciparono separatamente: l'ala del partito fedele a Buttiglione presentò liste comuni con Forza Italia, in tutte le quindici regioni a statuto ordinario chiamate al voto, con la denominazione di Forza Italia - il Polo Popolare, mentre quella guidata da Gerardo Bianco, si presentò con proprie liste (in Toscana e Lazio) assieme al Patto dei Democratici) in alleanza con le forze di centrosinistra (tranne che nelle Marche e in Campania, dove sostenne propri candidati alla presidenza della regione), con il nome di Popolari e un simbolo inedito: un gonfalone bianco con sopra disegnato il profilo di uno scudo. Lo slogan adottato dai Popolari fu lo scudo c'è, la croce aggiungila tu: infatti l'uso del tradizionale scudo crociato era precluso dalla disputa in atto tra le due componenti per la proprietà del simbolo.

Il 24 giugno 1995 venne finalmente raggiunta un'intesa tra Buttiglione e Bianco: i due settori si sarebbero separerati, ottenendo il primo il simbolo (lo scudo crociato) e il secondo il nome (Partito Popolare Italiano) del partito.

Nel luglio successivo, Buttiglione diede vita a una nuova formazione politica: i Cristiani Democratici Uniti.

La partecipazione all'Ulivo

Il PPI partecipò alle elezioni politiche del 21 aprile 1996 nell'ambito della coalizione dell'Ulivo e alla Camera, nel proporzionale, presentò liste comuni con SVP, PRI, l'Unione Democratica di Antonio Maccanico e i Comitati per l'Italia che vogliamo di Romano Prodi: la cosiddetta lista Popolari per Prodi, che ottenne il 6,8% dei voti e 4 deputati nel proporzionale, e nel maggioritario, sotto il simbolo dell'Ulivo, furono invece eletti 66 deputati e 32 senatori popolari.

Il partito fece parte della maggioranza che espresse i governi della XIII Legislatura dal 1996 al 2001, in cui suoi esponenti assunsero importanti cariche governative, come Beniamino Andreatta, Sergio Mattarella, Rosa Russo Jervolino e Rosy Bindi.

La confluenza nella Margherita

Template:Vedi anche Il 18 ottobre 2000, quando segretario del partito era Pierluigi Castagnetti, il PPI è confluito ne La Margherita, insieme agli altri partiti di centro dell'Ulivo: I Democratici, Rinnovamento Italiano e l'UDEUR.

Nata come alleanza elettorale, la Margherita è poi diventata un vero partito, fondendo il PPI, i Democratici e Rinnovamento Italiano, senza però l'UDEUR. L'attività politica del PPI fu pertanto sospesa, e il partito divenne un'associazione politico-culturale denominata I Popolari dopo il suo ultimo Congresso Nazionale del 2002.

Nel 2003 alcuni esponenti popolari che non hanno condiviso la scelta dello scioglimento nella Margherita (tra cui Gerardo Bianco, Alberto Monticone, Lino Duilio), hanno dato vita ad un altro movimento politico-culturale, pur rimanendo all'interno del partito di Francesco Rutelli, denominato Italia Popolare.

L'ex PPI, in quanto parte della Margherita, è poi confluito il 14 ottobre 2007 nel Partito Democratico, le correnti di riferimento all'interno di questo catch-all-party sono I Popolari, Democratici Davvero, Ulivisti, Teodem e Lettiani.

Risultati elettorali

Voti % Seggi
Politiche 1994 Camera 4.287.172 11,0 33
Senato nel Patto - 27
Europee 1994 3.289.143 9,9 9
Politiche 1996 Camera 2.554.072 6,8 67
Senato nell'Ulivo - 31
Europee 1999 1.316.830 4,2 4
Politiche 2001 Camera nella Margherita - -
Senato nell'Ulivo - -
  • (1) Nella lista "Popolari per Prodi" insieme a Südtiroler Volkspartei (SVP), Partito Repubblicano Italiano (PRI), Unione Democratica (UD) e Comitati per l'Italia che vogliamo di Romano Prodi.

Struttura

Segretari

Presidenti

Congressi

  • I Congresso - Roma, 27-29 luglio 1994
  • II Congresso - Roma, 29 giugno - 1º luglio 1995
  • III Congresso - Roma, 9-12 gennaio 1997
  • IV Congresso (straordinario) - Rimini, 30 settembre - 2 ottobre 1999
  • V Congresso - Roma, 8-10 marzo 2002

Note

  1. Tre in Campania, uno in Sardegna, avvantaggiandosi in alcuni casi del numero maggiore di candidati del collegio (con Alleanza Nazionale e Forza Italia-CCD in competizione fra loro).
  2. Nelle elezioni amministrative del 21-22 novembre 1993, col sistema maggioritario e l'elezione diretta del sindaco, hanno votato 11 milioni di elettori e hanno compreso i comuni di Roma, Napoli, Genova, Venezia, Trieste e Palermo. Complessivamente, nei comuni con oltre 15 mila abitanti, ottenne l'11,2% dei consensi.
  3. Senza considerare valutazioni diverse da parte dell'elettorato basate su una diversa legge elettorale, con il precedente sistema completamente proporzionale il PPI avrebbe eletto 70 deputati e 35 senatori.

Bibliografia

  • Giulio Andreotti, De Gasperi e il suo tempo, Milano, Mondadori, 1956.
  • Pietro Scoppola, La proposta politica di De Gasperi, Bologna, Il Mulino, 1977.
  • Storia della Democrazia cristiana a cura di Francesco Malgeri; Vol. VII, Il Partito Popolare nella difficile transizione (1994-1998), Palermo, 1999.
  • Nico Perrone, Il segno della DC, Bari, Dedalo Libri, 2002.

Voci correlate

Collegamenti esterni

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